
La Cina, temuta ed accusata dalle imprese del
fotovoltaico europee per aver favorito le sue aziende, permettendo loro di vendere sottocosto i pannelli solari in Europa, sta subendo a sua volta la crisi che investe l’intero settore dell’energia solare.
Il ribasso dei prezzi, come un boomerang, ha colpito anche le industrie del “made in China”, per cui il governo ha deciso di chiudere le casse per le aziende minori. L’obiettivo è quello di eseguire una scrematura delle fabbriche che operano nel settore fotovoltaico, in modo da lasciare in piedi solo i cosiddetti
“big player”.
Della nuova politica cinese sulle rinnovabili ha parlato il
New York Times, intervistando Li Junfeng, che si occupa di sviluppo e riforma presso il ministero per l’Energia e le Politiche per il clima cinese. Junfeng è consapevole che le industrie minori, senza l’appoggio del governo, falliranno, ma ha confermato la nuova scelta della Repubblica Popolare, che non ha per nulla riscosso successo.
Le banche ad esempio, alle quali il governo ha chiesto di ridurre i finanziamenti, non sono del tutto d’accordo, visto che a loro interessa che le piccole aziende “restino in vita per saldare i debiti”. Anche i governi locali hanno mostrato una certa resistenza nei confronti della nuova strategia, poiché temono la perdita di migliaia di
posti di lavoro.
Li Junfeng, dal canto suo, nell’intervista continua a sostenere che la crisi del settore fotovoltaico cinese è dipesa dagli aiuti statali sovrabbondanti, mentre gli addetti ai lavori additano UE ed USA, con i loro dazi doganali.