
Da diverso tempo si discute la questione riguardante i bassissimi costi dei
pannelli solari prodotti in Asia, rivenduti a prezzi molto competitivi nel mercato europeo e statunitense. La Cina ne ha subito le conseguenze subendo l’acusa di
dumping.
Il risultato della diatriba commerciale tra Europa e la Repubblica Popolare è arrivato lo scorso 6 giugno, quando la Commissione Europea ha imposto dei dazi (retroattivi da marzo 2013) sui prodotti
fotovoltaici “made in China” importati in Europa.
La risposta della Cina si è concretizzata solo in questi giorni, dopo settimane d’intenso lavoro per il Governo locale, impegnato nel ridefinire il destino di un mercato divenuto troppo importante per la potenza industriale asiatica.
La piazza europea del
fotovoltaico vale per la Cina circa 15 miliardi di dollari, un giro d’affari da salvare a tutti i costi, anche delocalizzando la produzione all’estero. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, infatti, alcune imprese cinesi starebbero trasferendo i loro stabilimenti in Sudafrica, Portogallo, Malesia e Tailandia.
JinkoSolar, per esempio, sta già costruendo delle fabbriche in Sudafrica e Portogallo, Paesi nei quali non dovrà pagare i dazi imposti dall’UE. Si ventila inoltre che per evitare le tariffe doganali, l’attuale export solare cinese destinato all’Europa potrebbe appoggiarsi alla Croazia bypassando le frontiere.
Anche
Canadian Solar, secondo le dichiarazioni rilasciate del suo direttore commerciale
Yan Zhuang, sembra essere intenzionata ad aprire delle industrie a Taiwan, in Malesia o in Tailandia.